Si festeggiava il Venticinque a pranzo, tutti insieme, mia madre apriva l'enciclopedia della cucina molti giorni prima e appiccicava dei post-it tra le pagine al posto di segnalibri. Una famiglia impegnativa, un albero genealogico con pezzi mancanti. Chi era il papà di Carla. Un musicista viennese. (Tutti noi abbiamo dentro un pezzo mancante). Un militare di qualche paese lontano. (Qualcuno di noi ha un colore di occhi che non arriva da nessuno che conosciamo) Un uomo troppo sposato. (Il verde non troppo verde). Un uomo che non sapeva di essere un padre. (Ognuno di noi ha un lato del carattere senza origine). Un padre che non sapeva di essere un uomo. (Il pezzo mancante è la giustifica alla nostra perenne irrequietezza). Un uomo. Chi fosse nessuno l'ha mai saputo. La mamma di Carla, la mia nonna bis materna, non ha mai rivelato chi fosse quell'uomo. Per questo e per altro a Natale, ci siamo sempre guardati in faccia, sospetti, mancando dell'altro almeno ...
Mi sveglio e penso alla parola Frugale. Ha il sapore di qualcosa che sfugge, di qualcosa che si dice in due battute, frug-ale. Invece significa sobrio, misurato. Di seguito mi viene in mente Andrea Pazienza, il libro Pompeo, letto in un'adolescenza che mi soffiava sul collo, senza che oggi io lo veda riposto nei ripiani della libreria. Non c'è un nesso tra il significato di Frugale e l'artista ma ci sarebbe se il suono della pronuncia prendesse il sopravvento sull'etimologia del termine. Dire Frugale come dire Fruscio. Mi capita questa cosa qui con le parole. Ne ignoro momentaneamente il significato e lo associo a qualcosa che potrebbe essere ma non è. Frugale associato ad Andrea Pazienza è un'eresia, come dire che il sapore del riso bollito ricorda il cioccolato. Insomma, una cosa contorta detta a caso. Come quando una definizione surclassa un'idea, come quando quel ragazzo sul treno ha detto Si Andrea Pazienza è quel fumettista che si drogava, e io sbu...