Ho quarant'anni, di quei quaranta che sono quarantuno nell'anno dei quarantadue. Ho le rughe, i capelli bianchi si nascondono in mezzo a ricci corti. Non mi sento bella, quasi mai, ma forse di più di quanto mi sentissi a vent'anni, con l'eye liner spalmato a lato degli occhi, di una riga perfetta.
La maturità, allo specchio, ha la forma esemplare delle cose migliori che tu possa essere, come tirare fuori il meglio dal meglio e il meglio, comunque, dal peggio.
La vita, a tratti, non è cambiata molto da prima che essa stessa accadesse, ho perso le meches, partecipo alle riunioni scolastiche come rappresentante con molta meno enfasi, ho perso l'abitudine di comprare un paio di scarpe una volta al mese.
E' solo una questione di responsabilità e di strade con bivi scelti a istinto.
La vita di prima, come la ricordo io, non ha traccia di Facebook, di telefoni che non fossero quelli sporchi delle cabine a gettoni, ha le sembianze di estate e di un motorino bianco, di divieti imposti per essere trasgrediti e delle cose che ho voluto fare senza che mai nessuno mi avesse incoraggiato con una pacca sulla spalla. La prova che io sia stata anche giovane la ritrovo nei sogni che ho perduto e che non ricordavo, la ritrovo nella voce di un bambino che mi ricorda quanto andare a scuola possa fare schifo ed essere fantastico allo stesso tempo, pur non sapendo che il peggio deve ancora arrivare.
Ho un figlio maschio, ne avrei voluti due nel giorno in cui ho capito che non avrei avuto altre possibilità. Come tutte le occasioni che non so di volere fino al momento in cui le perdo. La vita è fatta anche di cose cieche, che tolgono il fiato, di momenti che fanno capire quanto accontentarsi sia complesso, senza scordare l'appagamento e la fortuna di essere madre.
Nella mia testa c'è sempre una storia che inizia e una storia che si modifica, c'è una voce narrante con parole che si susseguono, imperterrite, strafatte di tutti quei momenti che poi alla fine dimentico.
Ho una piccola agenda in borsa ma non ho mai la penna. E' usurata agli angoli, l'elastico allentato sfrega contro le pagine ingiallite. Ci sono oggetti che non hanno concluso la propria storia, che sono al loro posto e che hanno preservato identità e sentimenti.
Come quando a volte riesco ad essere una stronza senza pietà e un attimo dopo commuovermi per le ciliege nella bacinella in ceramica, il senso di colpa, il mondo che va storto e la nostalgia di Parigi.
L'irrequietezza è una condizione familiare, come l'insalata al pasto e la grigliata a Ferragosto.
Lev Tolstoj scriveva così:
Per vivere con onore bisogna struggersi, turbarsi, battersi, sbagliare, ricominciare da capo e buttare via tutto e di nuovo ricominciare e lottare e perdere eternamente. La calma è la vigliaccheria dell'anima.
Lev, uno di noi. 😏
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