E' stata quella volta che siamo andate io e te a mangiare il sushi. Era estate. Avevamo i tacchi alti e il sole sul viso e sulle spalle. E' stata quella volta - dicevo - che ho pensato che essere sorelle non fosse necessariamente una questione di sangue.
Quel sangue che non si vede mai ma si sente.
Il sangue che scorre veloce e che puoi sentire come il mare in una conchiglia gigante attaccata alle orecchie.
Che faccio, lo mando? - mi dicevi, ridendo.
Si. - rispondevo, sorseggiando il vino dal calice trasparente.
Tutte le volte che il mondo cambia per te, io ci sono stata, quindi sì.
Pensavo.
Mandalo.
E' stata quella volta che siamo andate io e te a mangiare il sushi. Era estate. Avevamo i capelli un po' più lunghi, il cellulare vicino al bicchiere e ridevamo delle cose che capitano di solito quando i piedi ticchettavano veloci sui bolognini.
I tacchi si rovinano.
Anche la pelle al sole. E io sono chiara.
E' stata quella volta che ho pensato, sì, siamo sorelle.
Che se succede qualcosa a me tu lo sai e se succede a te io lo so.
Anche se siamo lontane.
Tu una volta mi hai detto che un fratello ce l'hai ma non è mica la stessa cosa.
Io ti avevo guardato dallo specchietto retrovisore e avevo pensato, di nuovo, che si, siamo sorelle senza sangue uguale.
Perchè io te l'ho detto molte volte e tutte le altre volte ancora, se questa felicità al contrario la dividessimo in piccoli pezzetti e la tenessimo un po' io e un po' te, aprendo le finestre, lanciandone fuori una parte, respirando aria buona, le curve sarebbero un po' meno curve, la strada sterrata un po' più liscia, senza avere la gola soffocata tra la testa e il cuore.
Te l'ho detto.
Molte volte.
Che siamo state sorelle. Senza sangue uguale.
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