Olimpiadi. Il maratoneta detentore del titolo non si presenta e solo qualche giorno fa se ne è capito il motivo. L'Italia insorge, le dita puntate verso il campione senza personalità.
Poi quell'intervista straziante in cui si confessa mettendo lacrime e cuore in mano a tutti i telespettatori. E io lì che penso quanto sia difficile essere un vero atleta. Niente vita sociale, niente aperitivi, feste di compleanno senza torta con la panna, allenamenti sei giorni su sette, muscoli scolpiti, gare e nient'altro. La vita fatta di appuntamenti, mondiali, europei, campionati italiani e olimpiadi. Nessuno di noi, piccoli atleti metropolitani, può captare una vita fatta di scadenze, rigore fisico e mentale, dieta, allenamento, culto della perfezione, tutto per una medaglia, per un podio che sogni da sempre, per una gara perfetta.
E così il maratoneta perde il controllo, diventa, improvvisamente, un uomo normale, un uomo competitivo, che non vuole perdere, che non vuole restare indietro. Un salto nel vuoto, la decisione di aiutare il fisico ad essere veloce e forte, inconsapevole di quello che non potrà mai fare. Mai più.
Ora, se proprio dovessi essere sincera, direi che non credo a tutte le sue meravigliose parole, sicuramente è stato aiutato da staff di medici e preparatori, le persone a lui vicine non erano proprio all'oscuro di tutto. La sua adorabile fidanzata l'ha lasciato un po' troppo solo e la sete di vittoria ha coinvolto anche i suoi amici più fiduciosi. Certamente non sapremo mai la verità ma poco importa.
La cosa che mi lascia sconcertata è la sua fretta di vuotare il sacco, come se veramente non ne potesse più, di tutto, come se fosse in gabbia o senza ossigeno. E quella voglia di urlare, al mondo intero, fatemi smettere di far tutto quello che ho fatto e avuto finora, la corsa, il doping e la solitudine.
Respira Alex, respira.
E vivi. Adesso.
Che prima o poi tutto passa.
Lo diceva la mia nonna.
Poi quell'intervista straziante in cui si confessa mettendo lacrime e cuore in mano a tutti i telespettatori. E io lì che penso quanto sia difficile essere un vero atleta. Niente vita sociale, niente aperitivi, feste di compleanno senza torta con la panna, allenamenti sei giorni su sette, muscoli scolpiti, gare e nient'altro. La vita fatta di appuntamenti, mondiali, europei, campionati italiani e olimpiadi. Nessuno di noi, piccoli atleti metropolitani, può captare una vita fatta di scadenze, rigore fisico e mentale, dieta, allenamento, culto della perfezione, tutto per una medaglia, per un podio che sogni da sempre, per una gara perfetta.
E così il maratoneta perde il controllo, diventa, improvvisamente, un uomo normale, un uomo competitivo, che non vuole perdere, che non vuole restare indietro. Un salto nel vuoto, la decisione di aiutare il fisico ad essere veloce e forte, inconsapevole di quello che non potrà mai fare. Mai più.
Ora, se proprio dovessi essere sincera, direi che non credo a tutte le sue meravigliose parole, sicuramente è stato aiutato da staff di medici e preparatori, le persone a lui vicine non erano proprio all'oscuro di tutto. La sua adorabile fidanzata l'ha lasciato un po' troppo solo e la sete di vittoria ha coinvolto anche i suoi amici più fiduciosi. Certamente non sapremo mai la verità ma poco importa.
La cosa che mi lascia sconcertata è la sua fretta di vuotare il sacco, come se veramente non ne potesse più, di tutto, come se fosse in gabbia o senza ossigeno. E quella voglia di urlare, al mondo intero, fatemi smettere di far tutto quello che ho fatto e avuto finora, la corsa, il doping e la solitudine.
Respira Alex, respira.
E vivi. Adesso.
Che prima o poi tutto passa.
Lo diceva la mia nonna.
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