Ci sono centosessantotto ore in una settimana. Seicentosettanta e poco più in un mese. La solitudine a volte pesa meno.
Ho pensato ci dovesse sempre essere un confine, qualcosa di invalicabile.
Il confine è una linea, dritta e marcata. L'assurda integrità di quella linea mi annienta, forse perché oltre, io sono tutto.
Oggi sono monca.
E scavata.
Monca come un soldato ferito in guerra.
Scavata come una buca in riva al mare.
Non perderò mai ciò che amo - pensavo.
Invece ho avuto paura.
Quelle che noi chiamiamo certezze, quelle solide ancore che ci bloccano i piedi, ad un tratto affondano e per decidere se galleggiare a peso morto o toccare il fondo e saltare su, occorre solamente un attimo, un momento preciso di lucidità.
Se cammino sulla destra della linea gialla, se cammino entro i paletti, non corro il rischio di farmi prendere da una macchina in corsa o da una moto in bilico sulla propria fune. Il privilegio di non parlare è qualcosa che non avevo calcolato. La mia testa è colma di tutte le parole che non vogliono scappare.
Non ho più nessuna voglia, diceva una donna con le rughe a lato degli occhi, mentre l'altra stizzita, aveva un dito che puntava la mia pelle.
Per quanto io riesca a rimanere immobile, a camminare claudicante per la mia strada, vedo il margine, rimarcato, che brucia e mi fa credere che nulla accada mai inutilmente.
Il vuoto è attorno al corpo.
Il cuore si svuota.
La mente è nebbia.
Affondo verticalmente come mancasse il pavimento.
Forse anche le persone accadono o sono io che le lascio accadere.
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