Avevo sedici anni e in una delle tante liti con i miei genitori, all'epoca conservatori e poco all'avanguardia, puntai il dito contro mia madre dicendole che io non avrei mai fatto il suo lavoro, che non avrei mai fatto morire i miei sogni per quattro soldi al mese. Mia madre pianse per le mie parole, la leggerezza di quegli anni mi faceva volare sei metri da terra, mi sembrava di avere il mondo chiuso in un pugno.
Poi è quello che ho fatto. Il mio lavoro è lì, in un ufficio, al riparo dai pericoli del mondo, numeri, leggi e telefono. E ci sono anche i quattro soldi al mese. Tutto da copione. Un boomerang preso in faccia e l'invidia di chi vorrebbe tutto questo sotto i miei piedi
Però i miei sogni non sono morti, nonostante li abbia presi a calci, sono ancora lì, in fermento. Si evolvono e creano quell'aurea di speranza di cui oggi ho tanto bisogno.
Perchè diciamocelo, non è che questo paese dia tante occasioni, soprattutto è difficile cercarle, trovarle e avere il coraggio di fare il salto nel vuoto.
La speranza è che io riesca a saltare, prima o poi, dal posto giusto e alla giusta ora. Un volo libero e una caduta, magari non proprio perfetta, ma dignitosa. E soprattutto il dito medio medio alzato, rivolto alle prigioni di questa vita, con tutta la grazia che solo una donna, in certi occasioni, riesce ad avere.
Commenti
Posta un commento