Poi alla fine sono dieci. Anni. Il giorno dieci. Il mese è solo il nove. Io mi ritrovo a pensare che in fondo mica me ne sono accorta di tutto questo tempo che se ne è andato. Solo se guardo i filmini. Solo se guardo le foto. Solo se guardo le mie bellissime scarpe dorate di Guido Pasquali.
Ho indossato un abito che non era bianco. Ho scelto un fiore solo, rosso. Ho scelto una chiesa in campagna e ho chiesto con il naso in su che tutto andasse per il verso giusto.
Io e la religione non abbiamo un rapporto fantastico. Io, Dio e gli angeli invece abbiamo un punto d'incontro, sono fermamente convinta che a loro non importi quante volte non ho dato importanza alle imposizioni ecclesiastiche. E si, molte cose le ho dimenticate. Non conosco l'importanza dei sacramenti, le preghiere che conosco si avvicinano al numero tre, non amo le messe.
Non ricordo il giorno della mia comunione, il giorno della cresima indossavo un vestito terribile ma griffato da una di quelle firme per bambini. Ricordo che dieci anni fa mi sono confessata in una chiesa a caso, con un prete a caso, per evitare il senso colpa di non averlo fatto.
Ho odiato il catechismo, mi sono annoiata a morte, nelle ore di religione a scuola facevo i compiti per la lezione successiva. Alle Medie il prete che veniva a farci lezione aveva degli occhiali con lenti a otto diottrie mancanti e non vedeva i pezzi di gomma sparati con la Bic vuota, né sulla cattedra, né sui vestiti.
Ma Dio e gli angeli lo sanno che quel giorno di dieci anni fa io ero proprio io, ed ero felice.
Felice come il mondo che ruota ogni giorno, felice come le cose che vogliono durare per sempre, felice come se niente potesse scalfirmi, felice come le giornate di sole dopo la pioggia.
Loro si che lo sanno, quanto sono stati belli tutti e dieci questi anni, nonostante le salite, le rincorse, i dolori, la mancanza delle persone che non sono più con me, la mancanza della spensieratezza che attanaglia la gola.
Tutta questa vita.
Che tenerezza.
Questa cosa dell'amore che non si dice più ma che diventa pelle e viscere.
Come la colla che non si scolla e resiste al tempo, senza fili e residui.
Dieci.
Anni.
E oltre.
Ho indossato un abito che non era bianco. Ho scelto un fiore solo, rosso. Ho scelto una chiesa in campagna e ho chiesto con il naso in su che tutto andasse per il verso giusto.
Io e la religione non abbiamo un rapporto fantastico. Io, Dio e gli angeli invece abbiamo un punto d'incontro, sono fermamente convinta che a loro non importi quante volte non ho dato importanza alle imposizioni ecclesiastiche. E si, molte cose le ho dimenticate. Non conosco l'importanza dei sacramenti, le preghiere che conosco si avvicinano al numero tre, non amo le messe.
Non ricordo il giorno della mia comunione, il giorno della cresima indossavo un vestito terribile ma griffato da una di quelle firme per bambini. Ricordo che dieci anni fa mi sono confessata in una chiesa a caso, con un prete a caso, per evitare il senso colpa di non averlo fatto.
Ho odiato il catechismo, mi sono annoiata a morte, nelle ore di religione a scuola facevo i compiti per la lezione successiva. Alle Medie il prete che veniva a farci lezione aveva degli occhiali con lenti a otto diottrie mancanti e non vedeva i pezzi di gomma sparati con la Bic vuota, né sulla cattedra, né sui vestiti.
Ma Dio e gli angeli lo sanno che quel giorno di dieci anni fa io ero proprio io, ed ero felice.
Felice come il mondo che ruota ogni giorno, felice come le cose che vogliono durare per sempre, felice come se niente potesse scalfirmi, felice come le giornate di sole dopo la pioggia.
Loro si che lo sanno, quanto sono stati belli tutti e dieci questi anni, nonostante le salite, le rincorse, i dolori, la mancanza delle persone che non sono più con me, la mancanza della spensieratezza che attanaglia la gola.
Tutta questa vita.
Che tenerezza.
Questa cosa dell'amore che non si dice più ma che diventa pelle e viscere.
Come la colla che non si scolla e resiste al tempo, senza fili e residui.
Dieci.
Anni.
E oltre.
Commenti
Posta un commento