Suona la prima sveglia. Sono le 6.30. Spenta. Il secondo avviso è un quarto d'ora dopo e riesco almeno ad aprire gli occhi. Mi sembra di aver passato una notte in una frenetica discoteca milanese, fra aperitivi e superalcolici e invece no, mi sono solo addormentata un pochino tardi.
Un minutino dopo mi lancio giù dal letto, picchio il piede destro contro lo stipite della porta, alzo gli occhi al cielo perché le parole non mi escono, corro in bagno, i vestiti sono già pronti, sono diventata più previdente e poi non si sa mai (potrei essere talmente assonnata e sbagliare l'abbinamento colori - vestiti in un batter d'occhio).
Poi uno yogurt, nelle migliori mattine, davanti al tg, e qualche biscotto sgranocchiato con swiffer in mano mentre faccio le piste in salotto. Il divano riordinato, le briciole raccolte, lo schienale raddrizzato, i telecomandi sparsi per il tappeto, le ditate sul televisore ("Laura, girati! Chiudi gli occhi!"), ci vorrebbe un giro di aspirapolvere ma il tempo fa tic tac.
I panni. Sporchi. Annidati nella cesta in bagno, schiacciati prepotentemente verso il fondo, escono urlando "Aiuto!". Il mio passo diventa veloce. Raggruppo i colorati nel contenitore di plastica, mi infilo le ciabatte, corro giù per le scale, vedo la lavatrice in lontananza, lancio i panni, verso il detersivo nella pallina, l'ammorbidente nello spazio apposito. Chiudo lo sportello, giro la rotella verso i 30, la lavatrice inizia il programma, abbasso lo sguardo e vedo un paio di mutande fuoriuscite dal cestello durante il lancio. Sbuffo. Dimentico sempre un pezzo. Vabbhè sono solo mutande.
Torno di sopra, entro in camera di R, lo guardo mentre dorme gli ultimi istanti di sonno e penso che non ci sia niente di più bello.
Lo chiamo una, due, tre volte, gli accarezzo la testa. Gli lascio il tempo di abituarsi alla luce.
Poi vado da L e guardo anche lui. Lo fisso un po'. Sembra in pace. Ormai lo è molto poco, purtroppo.
Porto R dai nonni. Solo il tempo di baciarmelo un po'.
Mi infilo le scarpe, 7 spruzzatine di profumo, un ciao veloce e via.
Sono le 8 e 23 minuti, ho esattamente 7 minuti per arrivare al lavoro. Il semaforo, il traffico, il capo che guarda l'orologio.
Prima o poi schiatto. Voce del verbo schiattare. Ahimè.
Un minutino dopo mi lancio giù dal letto, picchio il piede destro contro lo stipite della porta, alzo gli occhi al cielo perché le parole non mi escono, corro in bagno, i vestiti sono già pronti, sono diventata più previdente e poi non si sa mai (potrei essere talmente assonnata e sbagliare l'abbinamento colori - vestiti in un batter d'occhio).
Poi uno yogurt, nelle migliori mattine, davanti al tg, e qualche biscotto sgranocchiato con swiffer in mano mentre faccio le piste in salotto. Il divano riordinato, le briciole raccolte, lo schienale raddrizzato, i telecomandi sparsi per il tappeto, le ditate sul televisore ("Laura, girati! Chiudi gli occhi!"), ci vorrebbe un giro di aspirapolvere ma il tempo fa tic tac.
I panni. Sporchi. Annidati nella cesta in bagno, schiacciati prepotentemente verso il fondo, escono urlando "Aiuto!". Il mio passo diventa veloce. Raggruppo i colorati nel contenitore di plastica, mi infilo le ciabatte, corro giù per le scale, vedo la lavatrice in lontananza, lancio i panni, verso il detersivo nella pallina, l'ammorbidente nello spazio apposito. Chiudo lo sportello, giro la rotella verso i 30, la lavatrice inizia il programma, abbasso lo sguardo e vedo un paio di mutande fuoriuscite dal cestello durante il lancio. Sbuffo. Dimentico sempre un pezzo. Vabbhè sono solo mutande.
Torno di sopra, entro in camera di R, lo guardo mentre dorme gli ultimi istanti di sonno e penso che non ci sia niente di più bello.
Lo chiamo una, due, tre volte, gli accarezzo la testa. Gli lascio il tempo di abituarsi alla luce.
Poi vado da L e guardo anche lui. Lo fisso un po'. Sembra in pace. Ormai lo è molto poco, purtroppo.
Porto R dai nonni. Solo il tempo di baciarmelo un po'.
Mi infilo le scarpe, 7 spruzzatine di profumo, un ciao veloce e via.
Sono le 8 e 23 minuti, ho esattamente 7 minuti per arrivare al lavoro. Il semaforo, il traffico, il capo che guarda l'orologio.
Prima o poi schiatto. Voce del verbo schiattare. Ahimè.
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