Per tutto questo tempo ho pensato a te. E avevo promesso. Come è facile farlo in queste occasioni. Avrei dovuto scrivere qualcosa di te il 30 luglio. Di ogni anno. E invece ho perso un pezzo. Il 30 luglio di quest'anno ho donato il sangue e mi sei venuta in mente perché mi chiedevi sempre se facesse bene donarne così tanto, io rispondevo che è la prassi e tu mi dicevi che la mia pressione è stata sempre troppo bassa e la mia pelle troppo bianca. Era un discorso sempre uguale. Anche la bistecca di mezzogiorno lo era.
Poi sono andata dal parrucchiere, mi sono tirata i capelli ricci, li ho spuntati per testare per la seconda volta la sua bravura. Sai che non lo so.
E ho perso tempo.
Sono andata a fare la spesa, avrei voluto comprare un paio di scarpe, ho ritirato R come fosse un pacco postale e finalmente, tra la pioggia, ho varcato la soglia di casa. Ho respirato profondamente, ho pensato che ci fosse silenzio. Mi sono chiesta che giorno fosse e lì ho capito di esserci caduta sopra. Al giorno 30. E non l'ho pianificato. Ho capito che non avrei fatto in tempo a salutarti, a renderti omaggio, a salvare la promessa. La banalità di un errore denota spesso confusione. Come ben sai, non c'è ordine nella mia vita se non nella routine. Mi sono detta che avrei potuto farlo più tardi, forse il giorno dopo, forse quello dopo ancora.
Ho lasciato passare qualche giorno, ho lasciato credere che fosse una scelta.
Invece mi sono sentita dannatamente colpevole anche se tu mi diresti che non importa, che il pensiero di te c'è sempre e tu questa cosa la sai già.
Me lo chiedo spesso, cosa vedi ancora, se ci vedi ancora, se vedi anche il dolore o solo la gioia, se guardi i tuoi figli sorridenti e i tuoi nipoti che diventano grandi. Me lo chiedo se ti devo chiamare, se ti devo pregare, se ti devo urlare che ho bisogno ancora del tuo divano comodo e di MilanChannel, delle tue MS e delle camice stirate su per le scale fredde.
Tutta questa mancanza dentro mi fa pensare che per poterla contenere, debba scivolare, in qualche angolo. Che sia il giorno trenta o il giorno sei. In qualche modo. La pioggia aiuta. Il nostro prato non è arido. Il profumo di Citronella e Autan è nell'aria.
Sono passati settecentotrentacinque giorni e quando arriverò a mille senza te, dovrei affacciarmi alla finestra e guardare in alto in cerca di qualcosa che brilli di più delle solite stelle estive.
Posso farcela.
Forse.
Poi sono andata dal parrucchiere, mi sono tirata i capelli ricci, li ho spuntati per testare per la seconda volta la sua bravura. Sai che non lo so.
E ho perso tempo.
Sono andata a fare la spesa, avrei voluto comprare un paio di scarpe, ho ritirato R come fosse un pacco postale e finalmente, tra la pioggia, ho varcato la soglia di casa. Ho respirato profondamente, ho pensato che ci fosse silenzio. Mi sono chiesta che giorno fosse e lì ho capito di esserci caduta sopra. Al giorno 30. E non l'ho pianificato. Ho capito che non avrei fatto in tempo a salutarti, a renderti omaggio, a salvare la promessa. La banalità di un errore denota spesso confusione. Come ben sai, non c'è ordine nella mia vita se non nella routine. Mi sono detta che avrei potuto farlo più tardi, forse il giorno dopo, forse quello dopo ancora.
Ho lasciato passare qualche giorno, ho lasciato credere che fosse una scelta.
Invece mi sono sentita dannatamente colpevole anche se tu mi diresti che non importa, che il pensiero di te c'è sempre e tu questa cosa la sai già.
Me lo chiedo spesso, cosa vedi ancora, se ci vedi ancora, se vedi anche il dolore o solo la gioia, se guardi i tuoi figli sorridenti e i tuoi nipoti che diventano grandi. Me lo chiedo se ti devo chiamare, se ti devo pregare, se ti devo urlare che ho bisogno ancora del tuo divano comodo e di MilanChannel, delle tue MS e delle camice stirate su per le scale fredde.
Tutta questa mancanza dentro mi fa pensare che per poterla contenere, debba scivolare, in qualche angolo. Che sia il giorno trenta o il giorno sei. In qualche modo. La pioggia aiuta. Il nostro prato non è arido. Il profumo di Citronella e Autan è nell'aria.
Sono passati settecentotrentacinque giorni e quando arriverò a mille senza te, dovrei affacciarmi alla finestra e guardare in alto in cerca di qualcosa che brilli di più delle solite stelle estive.
Posso farcela.
Forse.
Commenti
Posta un commento