Una settimana di caldo, sole e margherite.
Improvvisamente la pioggia. Il borbottio del mondo sotto i piedi. Io sono un poco più felice. Starei una vita con il palmo della mano che stride sul vetro della finestra e il naso che lascia l'impronta rotonda e perfetta.
Ho una canzone nella testa tutte le mattine. Non va più via. Ed è strano come a volte ci siano cose che vorresti eliminare ma rimangono incollate alla pelle e cose che vorresti rimassero ma evaporano come l'acqua per il the, nel bollitore.
E le briciole. Perché le si ami così tanto, non ho mai capito.
Eppure sono ciò che rimane delle persone quando se ne vanno, sono ciò che si prende in faccia, senza mai chiudere gli occhi, sono lo scricchiolio sotto i piedi. Si tengono in un pugno, non si ha mai il coraggio di aprire il palmo e lasciarle volare via. Si è ciechi a tal punto da credere che siano interi pezzi di pane, croccanti come le baguette di Parigi.
Qualcuno una volta ha detto che un dolore comincia a fare davvero male quando si inizia a fingere che non lo faccia. Forse è solo meno impegnativo. Forse diventa consuetudine.
Forse l'abitudine è già mancanza.
Qui sotto ci sono due adolescenti che tutti i giorni, dopo la scuola, si abbracciano per qualche minuto. Senza fare nient'altro. Immobili e inossidabili. Il contorno è la vita che corre. Io li guardo come fossero merce rara. Oggi che piove, quasi mi fermo e consiglio loro di farlo più spesso.
Che poi, quando diventi grande, ci sono le briciole.
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